7 Settembre 2018

Il piano attestato di risanamento non esonera l’imprenditore dal rispetto tempestivo delle obbligazioni contributive, anche sorte successivamente all’accordo, e quindi dalla punibilità per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti (art. 2 della L. n. 638/1983). Il principio – espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 39396 depositata ieri – deriva dalla natura, ampiamente illustrata nella pronuncia in esame, del piano ex art. 67 comma 3 lett. d) .; strumento che è riservato all’imprenditore per risanare l’impresa e riportarla in equilibrio economico e finanziario, mediante la realizzazione di una serie di operazioni strategiche, garantendo la continuità aziendale, senza che vi sia alcun controllo da parte del tribunale come, invece, proprio delle procedure concorsuali, dalla conclamata natura pubblicistica, di cui all’art. 182-bis (accordi di ristrutturazione dei debiti) e 160 e segg. (concordato preventivo). Si tratta, in sostanza di un atto unilaterale dell’imprenditore che non richiede necessariamente l’accordo con i creditori, collocato dal sistema in un ambito prettamente privatistico. Il citato art. 67 prevede, infatti, che “non sono soggetti all’azione revocatoria … gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, …, deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”. La ratio dell’istituto consiste, pertanto, nell’intento di salvaguardare gli atti posti in essere nell’ambito di un attendibile piano di risanamento aziendale, qualora il programma non giunga all’esito programmato e si apra la successiva procedura fallimentare. La protezione esonera i terzi, che hanno confidato nella bontà del piano e nella sua riuscita, dalle conseguenze derivanti dall’attivazione della revocatoria fallimentare. Tuttavia, questo contesto non permette alla Corte di ritenere – come richiesto dal ricorrente – l’esenzione dalla punibilità per il reato contestato, fondando il mancato adempimento dell’obbligazione contributiva sul convincimento, erroneo, del “congelamento dei debiti” o della “dilazione” dell’adempimento di obblighi di versamento rispetto alla scadenza derivante dal piano attestato ex art. 67. In altre parole, per i giudici di legittimità è giuridicamente errato ritenere che l’omissione contributiva alla scadenza possa essere scriminata dall’esecuzione del piano, secondo i parametri dell’art. 51 comma 1 c.p. (“l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”) poiché il piano – non essendo, come si è detto, procedura concorsuale volta a garantire il soddisfacimento dei creditori secondo i criteri del concordato preventivo – non autorizza l’imprenditore all’inadempimento delle obbligazioni tributarie o previdenziali. Di qui, la manifesta infondatezza, anche, della pretesa insussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imprenditore ricorrente, trattandosi di fattispecie a dolo generico per cui è richiesta la sola volontarietà dell’omissione (Cass. n. 3663/2014).
Diverso il caso del concordato preventivo
È proprio il riferimento alla sfera privatistica in cui si colloca il piano ex art. 67 comma 3 della L. fall. a caratterizzare la decisione in esame e a fondarne il presupposto. Diversamente, e sembra opportuno qui darne conto, riguardo ai rapporti fra la fattispecie penale di cui all’art. 10-ter del DLgs. n. 74/2000, riguardante l’omesso versamento IVA, e gli obblighi incombenti sul soggetto richiedente la definizione concorsuale dei propri debiti (compreso quello IVA) tramite la procedura del concordato preventivo; rapporti che hanno indotto, da ultimo, la Cassazione (Cass. n. 52542/2017) a riconoscere – anche per la natura pubblicistica della procedura – la prevalenza della norma fallimentare (e dell’ordine legittimo del giudice che ne deriva) su quella penale, con il riconoscimento della scriminante di cui all’art. 51 c.p.

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Modificato: 7 Settembre 2018